Mag 2014

Sono preoccupanti i dati che arrivano dal Progetto ‘Sepias’, lo studio realizzato  dal Centro per il controllo e la prevenzione delle malattie del Ministero della salute, coordinato dall’Istituto di fisiologia clinica del Consiglio nazionale delle ricerche (Ifc-Cnr),  che ha esaminato 282 residenti in 4 distinte aree del nostro Paese interessate da inquinamento ambientale da arsenico di origine naturale  (Monte Amiata e viterbese), o antropica (Taranto e Gela).

I risultati, presentati oggi nella sede centrale del Cnr a Roma, sono molto preoccupanti. “Nelle urine dei soggetti controllati abbiamo misurato il contenuto di diverse specie organiche e inorganiche di arsenico, alcune delle quali sono riconosciute come cancerogene per l’uomo”, spiega Fabrizio Bianchi, ricercatore dell’Ifc-Cnr e responsabile dello studio. “Sono stati misurati inoltre parametri di rischio cardiovascolare mediante ecodoppler carotideo e cardiaco e, nel sangue, numerosi biomarcatori di suscettibilità genetica, di danno al DNA, di effetto precoce”.

Dallo studio emergono numerose informazioni di carattere scientifico e sanitario. “Le quattro aree risultano caratterizzate diversamente per distribuzione e tipologia di arsenico assorbito dai partecipanti al biomonitoraggio e anche per alcune caratteristiche genetiche”, prosegue Bianchi. “Per quanto riguarda l’arsenico inorganico sono stati osservati valori medi di concentrazione elevati, sulla base di quelli di riferimento nazionali e internazionali per il biomonitoraggio umano, in un soggetto su quattro sul totale, ma con rilevanti differenze: 40% Gela, 30% Taranto, 15% viterbese, 12% Amiata. Questi dati, da usare con cautela in considerazione dei piccoli campioni, non sono marcatori di malattia ma testimoniano l’avvenuta esposizione”.

Ad ogni partecipante, inoltre,  è stato sottoposto un questionario, dal quale sono emerse alcune associazioni statisticamente significative tra concentrazione di arsenico e fattori di rischio indagati: in particolare, il rischio per la salute aumenta se si usa l’acqua proveniente dagli acquedotti o dalle falde acquifere delle zone contaminate.

“Principalmente con l’uso di acqua di acquedotto e di pozzo, ma anche con esposizioni occupazionali e con consumo di alimenti quali pesci, molluschi o cereali, che dovranno essere indagati con studi specifici”, continua il ricercatore Ifc-Cnr. “La preoccupazione per i rischi ambientali per la salute appare peraltro acutissima, specie nelle due aree industriali. A Taranto e Gela circa il 60% del campione giudica la situazione grave e irreversibile e oltre l’80% ritiene certo o molto probabile che in aree inquinate ci si possa ammalare di tumore o avere un figlio con malformazioni congenite.

E in queste aree è più bassa anche la fiducia nei confronti degli enti pubblici e dell’istituzioni che dovrebbero monitorare sulla presenza degli agenti inquinanti, soprattutto dove la causa primaria dell’inquinamento è stato proprio l’uomo.

“Il livello di fiducia negli enti locali è del 40% dei casi nell’Amiata e nel 27 a Viterbo, ma solo nel 6% a Taranto e nel 16 a Gela”, conclude Bianchi. “Lo studio ha fornito indicazioni importanti per la definizione di sistemi di sorveglianza nelle aree studiate che includano interventi di prevenzione sulle fonti inquinanti conosciute e la valutazione della suscettibilità individuale all’arsenico. Si suggerisce la prosecuzione del monitoraggio periodico a iniziare dai soggetti con i valori più elevati, per i quali si propone un protocollo di presa in carico, assieme a un’informazione costante e attenta da parte delle autorità, avvalendosi dei ricercatori e degli operatori della sanità pubblica”.

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