Lug 2018

Tv 2000 – Nella trasmissione ‘Dapprincipio’ si parla di esseri intelligenti e di come manifestino le capacità intellettive, con le dovute differenze e confronti.

L’uomo non è il solo essere pensante. Passando alle piante, per finire ai robot, possiamo assistere ad altri esempi di forme di intelligenza capaci di pensare, calcolare, creare azioni meccaniche o idee astratte, a volte anche meglio degli esseri umani. Tuttavia solo “l’intelligenza umana ha la duttilità per essere usata in più contesti molto rapidamente. Mentre gli algoritmi dell’Intelligenza artificiale, al momento, svolgono singoli compiti ben precisi”, spiega Amedeo Cesta del Cnr-Istc. In futuro, secondo l’esperto, si andrà sempre di più verso una collaborazione tra le diverse forme di intelligenza. Ne è un esempio il cosiddetto ‘robot sociale’, presentato da Filippo Cantucci, sempre del Cnr –Istc: “Si tratta di un robot pensato per interagire con persone di età avanzata, soprattutto quelle che soffrono di solitudine, proponendo una serie di esercizi che mantengono attive alcune capacità cognitive, per esempio la memoria”. Come dimostra il caso specifico, quindi, l’utilità dei robot si manifesta soprattutto nel prestare supporto allo staff medico, non nel sostituirlo. Il vero problema del rapporto tra macchina e uomo, non riguarda in realtà chi tra le due parti sia migliore, ma afferisce specificatamente alla scelta, ovvero allo spazio di decisione che si vuole lasciare o meno in mano alle macchine. Le ragioni su chi debba scegliere certe azioni (l’atterraggio di un aeroplano, la frenata di un veicolo, per esempio, ma soprattutto chi salvare in caso di pericolo?) contengono delle implicazioni etiche di non poco conto. Le macchine imparano a scegliere imitando l’interazione tipica dei bambini durante le prime fasi di apprendimento. “A differenza che nella robotica classica, vogliamo che il robot sia completamente autonomo nello scegliere il ‘cosa’ fare e il ‘come’. Ogni volta che riesce a modificare l’ambiente, è incuriosito e cerca di riprodurre ancora quegli stessi effetti, per capire cosa è avvenuto”, sottolinea Vieri Giuliano Santucci del Cnr-Istc.

Tutto questo non ci permette, oggi, di affermare che i robot possano provare sentimenti, che invece appartengono a una sfera ben più complessa della mente umana. Una mente abituata a pensare che oltre agli oggetti su cui poggia lo sguardo, focalizzando l’attenzione, ci può essere dell’altro. Si tratta di quel senso del mistero che ancora nessuna macchina, pur dotata della capacità di compiere calcoli sofisticati, è stata in grado di percepire. Il discrimine sembra proprio questo: l’uomo è nato per gli enigmi, la macchina per risolverli.

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