Feb 2016

Le nuove tecnologie hanno ‘fame’ di catalizzatori efficienti e dai costi contenuti. I materiali migliori sono costituiti da nanoparticelle, che devono le loro proprietà proprio alle dimensioni ridotte. Le singole particelle di catalizzatore però hanno la tendenza ad aggregarsi in particelle più grandi, affievolendo la propria efficacia. Un gruppo di ricercatori dell’Istituto officina dei materiali del Consiglio nazionale delle ricerche (Iom-Cnr), della Scuola internazionale superiore di studi avanzati di Trieste (Sissa) e del centro Democritos, con la collaborazione di altre istituzioni, ha creato un materiale che mantiene stabile il catalizzatore ‘disperso’, aumentando così l’efficienza del processo e diminuendo costi e sprechi. La ricerca è stata appena pubblicata su Nature Communications.

Il platino è uno dei costosi metalli usati come catalizzatori nelle nuove tecnologie che servono per i processi chimici industriali, le fonti di energia rinnovabile, la riduzione dell’inquinamento e tanto altro ancora. In particolare, viene usato per le celle a combustibile, dispositivi che trasformano l’energia chimica in elettrica, senza passare attraverso la combustione. La ricerca dimostra che l’efficienza maggiore si ottiene quando il catalizzatore è disponibile in forma di nano-particelle (sotto la dimensione di 10-9 m). In parole povere, più il materiale è disperso e piccole sono le particelle, più è disponibile per il processo di catalisi. Purtroppo, le leggi della termodinamica spingono le particelle ad ‘attaccarsi’ le une alle altre formando aggregati più grandi e questo è il motivo per cui il materiale con il passar del tempo diventa più scadente. Come fare per mantenere la “nanopolvere” massimamente dispersa?

Il gruppo di scienziati Iom-Cnr/Sissa, con la collaborazione dell’Univerzita Karlova di Praga, ha studiato il modo di produrre granuli di platino così piccoli da essere costituiti da un solo atomo e di mantenerli dispersi in maniera stabile, sfruttando le proprietà del substrato sul quale poggiano. “Il lavoro teorico ha dimostrato che le discontinuità del substrato chiamate step (gradini), osservate negli esperimenti effettuati presso Sincrotrone Trieste, tendono ad attirare le nanoparticelle e a disgregarle, facendo sì che vi restino letteralmente attaccate in forma atomica”, spiega Stefano Fabris, ricercatore Iom-Cnr/Sissa. “Le particelle incollate ai gradini non erano più visibili nemmeno con il microscopio a risoluzione atomica”, spiega Nguyen-Dung Tran, uno studente di PhD della Sissa. “Tuttavia, la loro presenza veniva rilevata dalla spettroscopia: quindi erano presenti, ma non libere di muoversi e invisibili”. “Le nostre simulazioni al computer hanno risolto questo dilemma, dimostrando che le particelle sugli step si riducono a singoli atomi”, aggiunge Matteo Farnesi Camellone Iom-Cnr, altro autore del lavoro.

“Se la superficie viene ingegnerizzata creando un gran numero di questi difetti, allora la forza che àncora le particelle al substrato contrasta efficacemente quella di aggregazione”, prosegue Fabris. Il lavoro teorico, coordinato da Fabris, ha permesso di formulare un ‘sistema modello’ al computer in grado di prevedere il comportamento del materiale. Le previsioni del modello sono state confermate dalle misure sperimentali. Materiali come questo possono essere utilizzati per gli elettrodi delle celle a combustibile, con costi molto inferiori a quelli attuali.

“Ridurre la quantità di platino usata negli elettrodi delle celle a combustibile è prioritario, non solo per ridurre i costi ma anche in una prospettiva di sostenibilità ambientale, come indicano anche le recenti direttive europee”, conclude Fabris. Il progetto europeo ChipCat, che ha finanziato questa ricerca, è mirato proprio a questo scopo.

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