Nov 2014

Negli ultimi decenni le relazioni economiche tra le due rive del Mediterraneo si sono intensificate, ma l’Europa non è riuscita a gestire i divari esistenti, diminuiti in parte negli ultimi anni solo per il rallentamento dovuto alla crisi. L’analisi arriva dal decimo ‘Rapporto sulle economie del Mediterraneo’, curato dall’Istituto di studi sulle società del Mediterraneo del Consiglio nazionale delle ricerche di Napoli (Issm-Cnr), edito da Il Mulino e presentato oggi a Roma, presso la sede centrale del Cnr.

“L’interscambio tra Unione Europea e Paesi del Nord Africa e del Medio Oriente è più che raddoppiato, passando da 70 miliardi di dollari nel 1995 a 227 nel 2012”, spiega Eugenia Ferragina dell’Issm-Cnr. “Le esportazioni dell’Ue sono cresciute più velocemente verso Turchia e Algeria, dove la crescita è stata rispettivamente del 413 e 321%, Egitto e Marocco. L’export dell’Unione nell’area europea è ora concentrato in Turchia per il 42%, Algeria (12%), Israele (10%) e Marocco (10%). I segnali positivi riguardano anche la crescita dell’interscambio dell’Italia con questi Stati, che è triplicato in diciotto anni”.

Nonostante le condizioni economiche globali più favorevoli e i ritmi di crescita sostenuti di molte economie dell’area, il Sud del bacino rimane notevolmente meno sviluppato. “Il terzo dei circa 500 milioni di persone che vive nei Paesi del Nord dispone dei due terzi del Pil e dell’energia”, prosegue la ricercatrice, che ha curato il volume assieme a Paolo Malanima dell’Università Magna Grecia di Catanzaro. “Sintomo di tali divari, le spinte migratorie, che si sono intensificate specialmente dall’Africa sub-sahariana verso il Maghreb, come tappa intermedia verso l’Europa, alimentate dal deterioramento ambientale e dai conflitti che le ondate di siccità hanno accentuato, caso emblematico il Darfour”.

L’Europa è ancora il principale partner di questi Paesi. “Dall’Ue proviene, infatti, oltre il 50% delle importazioni totali e intorno al 60% delle esportazioni dei Paesi della riva sud ed est del Mediterraneo (Psem), che però rappresentano per l’Unione un mercato ancora di scarsa importanza. Complessivamente i Psem nel 2012 contribuivano a meno del 2% degli scambi totali (import più export) dell’Ue con l’estero”, puntualizza Ferragina.

Un quadro incerto, dunque, anche per la vulnerabilità dei Paesi della ‘primavera araba’. “L’instabilità macroeconomica e socio-politica rischia di essere un deterrente per gli investimenti e per la crescita anche negli anni futuri, a meno che non vengano attuate riforme significative delle politiche economiche e delle strategie di crescita”, conclude la ricercatrice dell’Issm-Cnr. “È necessario che l’Europa concentri i suoi interventi presentandosi come un soggetto politico oltre che economico. Per l’Italia, poi, si tratta di gestire fenomeni complessi come la pressione migratoria, l’irrisolto conflitto arabo-israeliano, la richiesta di asilo di popolazioni in stato di guerra”.

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