Set 2019

Askanews – I telescopi estremamente grandi, con specchi dai 20 ai 40 metri di diametro, consentiranno agli astronomi di spingersi sempre più lontano e indietro nel tempo, verso le origini dell’Universo. Di questa nuova generazione di telescopi si parla in questi giorni a Roma dove l’Accademia dei Lincei ospita dal 9 al 13 settembre il convegno “Extremely Big Eyes on the Early Universe” a cui partecipano esperti provenienti da ogni parte del mondo. In questa nuova sfida l’Europa è in prima fila con ELT-Extremely Large Telescope, telescopio in costruzione sul Cerro Armazones, nelle Ande cilene, che avrà uno specchio primario di 39 metri (formato da 798 segmenti esagonali di 1,4 metri ciascuno), gestito dall’ESO (European Southern Observatory) e in cui l’Italia, con la sua industria e con l’Inaf, gioca un ruolo di primo piano.

Di ELT e delle prospettive che la sua tecnologia innovativa apre all’astronomia askanews ha parlato con Nichi D’Amico, presidente dell’Istituto nazionale di astrofisica. I telescopi estremamente grandi “sono il futuro dell’astronomia moderna. Si tratta di telescopi – spiega il presidente dell’Inaf – che vanno oltre i 30 metri di diametro, quindi una gigantesca superficie di raccolta della radiazione della luce, che vuol dire grandissima sensibilità e quindi la possibilità di spingersi sempre più lontano o di guardare oggetti vicini sempre più in dettaglio”. “Oggi gli specchi dei telescopi sono tra 8 e 10 metri; c’è poi il grande telescopio binoculare (Large Binocular Telescope, LBT) in Arizona, di cui siamo azionisti, con due specchi da 8 metri. Adesso stiamo andando nella classe oltre i 30 metri di diametro. Quello che l’ESO, di cui facciamo parte, sta costruendo ha uno specchio di 39 metri – prosegue il prof. D’Amico – che è in realtà un mosaico di specchi e dispone di tecniche che possono compensare l’effetto della turbolenza dell’atmosfera. Un telescopio di queste dimensioni ha un potere risolutivo incredibile, va al di sotto della turbolenza dell’atmosfera. Questo grazie a un meccanismo nello specchio secondario per cui lo specchio può vibrare, può entrare in sintonia con la turbolenza e si va deformando per compensare la turbolenza”. “ELT sarà una struttura imponente, alta oltre 70 metri, che potrebbe essere alloggiata nel Colosseo e riempirlo tutto. Un’opera colossale dal punto di vista dell’ingegneria meccanica. Ed è motivo di orgoglio per noi che il grande contratto, per la realizzazione della cupola e della struttura meccanica, di 400 milioni di euro è stato assegnato da ESO a un consorzio di ditte tutto italiano. Questo mostra, sottolinea il presidente dell’Inaf, la capacità raggiunta dalla nostra industria, che non nasce per caso, perché da anni l’industria lavora con l’Inaf, c’è un continuo trasferimento tecnologico e questo fa sì che siamo in molti grandi progetti con ruoli importanti. Anche lo specchio secondario è stato commissionato a una ditta italiana e l’Inaf ha avuto l’incarico di costruire parte della strumentazione, che è il cuore, il cosiddetto modulo MAORY (Multi-conjugate Adaptive Optics RelaY) dove alloggia la tecnica di ottica adattiva. Un’assegnazione di 18 milioni di euro che Eso ha fatto al nostro istituto”. La costruzione di ELT sul Cerro Armazones, in Cile, è iniziata nel 2017 con le opere di terra; “la prima luce è attesa nel 2025”. Quali orizzonti aprirà ELT all’astronomia? “Sono tanti i passi avanti che faremo. Innanzitutto la scoperta di nuovi esopianeti, pianeti che orbitano attorno ad altre stelle nella nostra galassia. Ne conosciamo già alcune migliaia e ne scopriremo altri; ma soprattutto cominceremo a caratterizzarli meglio. Ora li classifichiamo sulla base della loro collocazione o meno nella cosiddetta ‘zona abitabile’, cioè a quella distanza dalla loro stella che consente di immaginare temperature intermedie, simili alla Terra. Però la vita su un pianeta si sviluppa se ci sono altre condizioni, bisogna andare a vedere la composizione chimica dell’atmosfera, vedere se ci sono quegli ingredienti che danno luogo alla vita. E poi – prosegue il prof. D’Amico – dalla nostra galassia possiamo spingerci oltre, a studiare ancora più a fondo i meccanismi di formazione dei sistemi planetari. Studiamo già questi sistemi ma ci sarà uno studio molto più dettagliato; per spingerci poi – conclude D’Amico – verso le altre galassie e studiare le popolazioni stellari di queste galassie. E poi spingerci ancora più lontano, a distanze cosmologiche, quelle che rappresentano le fasi primordiali dell’Universo. Ricordando che spingersi sempre più lontano, significa andare sempre più indietro nel tempo”.

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