Ago 2021

Quanto ci ha cambiati il lavoro ‘in smart’? Nuove regole conducono a nuove abitudini, sottolineate con l’ironia di attori come Giovanni Scifoni e divenute virali sui social. Quello che la satira mette in evidenza e che i più condividono, sono, tuttavia, problemi seri su cui interviene l’esperto Antonio Cerasa dell’Istituto per la ricerca e l’innovazione biomedica del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Irib).

Ore passate a presenziare riunioni su Zoom, dirette social, Dad e più in generale il lavoro ‘da casa’, rischiano di cambiare il modo in cui percepiamo la nostra immagine. Lo smartworking, con le sue modalità, ci ha costretti a una continua visione della nostra immagine, una sovraesposizione che potremmo non ‘digerire’ facilmente. “Tutta questa concentrazione di attività comunicative cosi diverse all’interno di un piccolo monitor, può diventare patologica anche in funzione della mancanza di un fattore fondamentale per l’animale umano che è il movimento. Comunicazione e socializzazione sono due delle principali funzioni umane che vanno di pari passo con gli spostamenti, con i movimenti. La pandemia ci ha costretto ad eliminare la base su cui si poggiavano questi fenomeni, costringendoci a lunghissime ore di sovraesposizione, da seduti, della nostra immagine e di quella degli altri, con conseguenze sulla mente, quali aumento dell’ansia e della depressione, unitamente al workaholism”, spiega Cerasa.

 

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