Feb 2015

Che il cervello discrimini prioritariamente gli animali dagli oggetti era già noto. Quello che non sapevamo è che la distinzione avviene indipendentemente dalla nostra volontà, in uno stadio cioè precedente a quello della coscienza. Lo evidenzia un recente studio pubblicato sulla rivista ‘Biological Psychology’, condotto da un team di ricercatori dell’Istituto di bioimmagini e fisiologia molecolari del Cnr (Ibfm-Cnr) di Milano e dell’Università Milano Bicocca.

Lo studio ha registrato la velocità di risposta motoria e i potenziali bioelettrici cerebrali (Erp) generati da coppie di immagini statiche di animali, oggetti o di queste categorie assieme, sottoposte a un gruppo di studenti a cui è stato chiesto di giudicare se esse appartenessero a una stessa categoria o a una diversa. I risultati evidenziano come gli animali producano una risposta motoria del cervello più veloce, 564 millisecondi per gli animali contro 626 per gli oggetti.

“Di solito nell’essere umano la vista è guidata dall’attenzione e, se quest’ultima manca, le informazioni sfuggono alla nostra consapevolezza, ma questo processo non riguarda gli animali, ai quali è riservato un sistema di monitoraggio automatico”, spiega Alberto Zani dell’Ibfm-Cnr, coordinatore del gruppo di ricerca. “Molto probabilmente, il cervello coglie le informazioni sensoriali più ‘omomorfe’, caratterizzate da un volto con occhi e bocca e dagli arti, tipiche degli animali, rispetto a quelle con fattezze più squadrate e lineari, quali gli oggetti. Conseguentemente, l’informazione raccolta attraverso la vista e i sensi ha un accesso ‘facilitato’ alla rappresentazione mnemonica delle prime, determinando risposte più veloci che per le seconde”.

“La straordinaria precocità dell’effetto suggerisce come l’immagine degli animali abbia uno status speciale per il nostro cervello che si manifesta fin dalla più tenera età, come dimostra la particolare attrazione che i bambini manifestano per gli animali e per tutto ciò che vi assomigli, da Peppa Pig a Topolino, fino ai peluche”, conclude Alice Mado Proverbio, del Milan Center for Neuroscience dell’Università Milano Bicocca.

 

 

 

 

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