Dopo oltre venticinque anni dall’intervento di liming, coordinato dall’Istituto per lo studio degli ecosistemi del Cnr (Ise-Cnr), il lago d’Orta, per anni tristemente famoso per essere il più grande lago acidificato del mondo, è oggi completamente ‘guarito’ dal punto di vista chimico e le sue acque sono pure, del tutto paragonabili a quelle originarie.
Il video nasce da un progetto di collaborazione tra Ise-Cnr, Ecomuseo del Lago d’Orta e Mottarone, con la volontà di ‘fare memoria’ sull’importanza di questo piano di intervento, realizzato tra il 1989 e il 1990, che riportò il lago a condizioni chimiche favorevoli alla vita dopo un lungo periodo durante il quale era divenuto tossico ed inospitale per la vita.
“A causare il completo e persistente deterioramento della qualità delle sue acque, un tempo rinomate per la loro purezza e per la grande e ricca diversità del suo biota, sono stati gli scarichi di inquinanti, essenzialmente metalli pesanti, a seguito dell’insediamento sulle sue rive, all’estremo opposto dell’emissario, di una rinomata fabbrica (la Bemberg), specializzata nella produzione di filato sintetico”, spiega Marina Manca, direttore dell’Ise-Cnr. “La fabbrica, insediatasi sulle sponde del lago nel 1926, aveva da subito avviato la produzione del tessuto con il metodo cupro- ammoniacale, emungendo dal lago notevoli quantità d’acqua e, in assenza di una legislazione che ne tutelasse l’uso, restituendole al lago insieme ai soluti, rame e ammonio in primis, tossiche per la vita”.
Ben presto, oltre a diventare tossico per il rame, il lago divenne anche acido. “L’arricchimento di sali di ammonio a seguito degli scarichi innescava un ciclo di reazioni che avevano come conseguenza il rilascio di ioni idrogeno (acidità) nel lago”, prosegue Manca. “Questa acidità consumava inesorabilmente la riserva alcalina delle sue acque, una riserva già abbastanza limitata per sua natura. Esaurita la quale, il lago incominciò ad accumulare acidità, fino a giungere a condizioni estreme, di un pH medio, nell’intera massa d’acqua, di 4,5, con punte estreme, alla circolazione di 3,8 unità. A queste condizioni neppure la balneazione era più consentita”.
Consapevole della situazione dei tempi che, anche una volta cessato l’inquinamento, sarebbero stati necessari per recuperare il lago alla vita e sulla base di precedenti studi condotti con successo in Nord America e Scandinavia, l’Ise-Cnr propose un intervento di liming. “Si è trattato di un processo di neutralizzazione attraverso l’immissione nel lago di 15.000 tonnellate di carbonato di calcio finemente macinato”, spiega Alcide Calderoni, ricercatore Ise-Cnr. “Il sistema era quello di spargere una sospensione di questo carbonato di calcio su un’ampia superficie del lago in modo che il carbonato scendesse poco per volta verso la profondità e man mano che scendeva neutralizzava la massa d’acqua acida che incontrava sotto”.
Il piano di intervento, approvato dal Ministero dell’Ambiente, dalla Regione Piemonte e dalla Provincia di Novara, fu finanziato nel 1987 e realizzato da una equipe, guidata dall’Ise-Cnr (allora Istituto Italiano di Idrobiologia), della quale facevano parte, fra gli altri, Irsa-Cnr, JRC Ispra, le Università di Milano, Bologna e Parma, i servizi d’Igiene Pubblica della USL, Il Consorzio Depurazione Acque Reflue Cusio e il C.R.T.N. – ENEL of Milano.
“Oggi l’Orta ha, come gli altri laghi risanati dal punto di vista chimico, acque chimicamente pure, del tutto paragonabili a quelle originarie. Tuttavia, non può, da solo, raggiungere quelle condizioni di ricchezza del biota che lo caratterizzavano prima del suo inquinamento. In particolare, il popolamento ittico pelagico, un tempo fra i più ricchi tra quelli dei laghi profondi subalpini, è molto impoverito. Il progetto di ripopolamento della fauna ittica pelagica, avviato recentemente grazie al finanziamento del progetto ‘Ittiorta’ da parte dei comuni rivieraschi, dovrebbe restituirne appieno le caratteristiche. Con i dovuti tempi: la risposta del sistema biologico non è, come quella dell’ambiente chimico, immediata. Richiede competenza, dedizione, cura, grande pazienza, tenacia… e un po’ di fortuna”, conclude Marina Manca.
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