Sono riprese in Sicilia le attività di scavo nel sito di Santa Maria Venera al Pozzo. 9 ettari di terreno in cui giovani archeologi stanno riportando alla luce cocci, pavimentazioni, cinte murarie di un insediamento romano. Tra le rovine, spiccano i resti di un impianto termale. A guidare i lavori è l’Istituto dei beni archeologici e monumentali del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Ibam) che ha come partner il Polo regionale per i siti culturali di Catania e della Valle dell’Aci. Tutto viene raccolto, pulito, registrato e fotografato per una corretta catalogazione, fondamentale per gli studiosi. Le operazioni sono condotte utilizzando le più moderne tecniche messe a disposizione dalla ricerca scientifica che viene in supporto dell’archeologica classica. Strumenti come il georadar, per esempio, consentono ai geofisici del Cnr di effettuare uno screening in profondità per riportare in diretta i dati su un display, dati che consentono di conoscere cosa si celi sotto il terreno, ancor prima di scavare. L’area è di estremo interesse per gli archeologi, che qui si stanno cimentando con lo studio sulle rovine della cosiddetta ‘villa rustica’. “L’edificio, appartenuto probabilmente a un latifondista della zona, è di epoca compresa tra l’età repubblicana e la imperiale”, commenta Claudia Pantellaro del Cnr-Ibam, che ha il compito di supportare i giovani, futuri archeologi in una esperienza per loro fondamentale. Le numerose ore trascorse sul campo dagli studenti dell’università di Catania, sotto la guida di colleghi più esperti, rappresenta, infatti, una vera e propria palestra formativa, verso un settore, quello dell’archeologia, che non può più prescindere dalle conoscenze derivanti da altre discipline. “La figura dell’archeologo è cambiata, oggi è fortemente multidisciplinare”, sottolinea il direttore del Cnr-Ibam, Daniele Malfitana, “l’unione di queste diverse competenze, genera un’archeologia globale”.
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