Mag 2022

Rai Italia – Lo smart working è diventato ormai una forma di lavoro diffusa, ma con modalità diverse nelle varie parti del mondo. Si calcola che circa il 40% della forza lavoro in Europa operi da remoto. Collegato in studio, Antonio Tintori dell’Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Irpps) parla dello studio commissionato dal Cug al gruppo Musa dell’Irpps, che ha sondato i dipendenti dell’Ente sul lavoro agile a due anni dalla pandemia che, come è noto, ha fatto schizzare il picco di lavoratori ‘da casa’ in maniera repentina, da 500 mila a oltre 7 milioni. Il dato che salta maggiormente all’occhio è “che in una scala da 0 a 10, la fiducia sulla efficacia di questa modalità lavorativa è risultata pari a 8”, dice Tintori, mentre, in relazione alle problematiche emerse, “solo una nettissima minoranza di dipendenti ritiene che il lavoro agile sia praticabile tutti i giorni”. Va sottolineato il fatto che la ricerca riguardi una compagine particolare del mondo lavorativo, quella del maggiore ente di ricerca italiano. “Tuttavia, è evidente che la pandemia ci sta portando verso il superamento di uno stereotipo, secondo cui la produttività sia connessa alla presenza nei luoghi di lavoro”, specifica l’esperto.

Il tema del lavoro agile si lega, poi, anche con quello della conciliazione tra lavoro-famiglia-vita privata. Da questo punto di vista il periodo pandemico, se da un lato ci ha fatto compiere un balzo in avanti, soprattutto dal punto di vista tecnologico, di contro ci ha catapultati in una regressione culturale, “in particolare nelle relazioni di genere, tra uomini e donne. Perché nel primo periodo di lockdown la strettissima convivenza domiciliare ha fatto riesplodere l’idea che esistano dei ruoli socialmente dedicati all’uomo e alla donna”, conclude Tintori.

 

 

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