Gen 2021

Può un privato, proprietario di un social network, arrogarsi il diritto di bloccare un account di un utente? Da dove gli deriva l’autonomo potere di prendere una decisione simile? Si tratta di censura o vi è una qualche legittimità? A queste domande risponde la nostra esperta, Marina Pietrangelo dell’Istituto di informatica giuridica e sistemi giudiziari (Cnr-Igsg) di Firenze.

La materia è regolata dalle norme contrattuali di diritto privato, sottoscritte da utente e gestore, pertanto, quando si verifica l’eliminazione sia pure temporanea di un profilo social, non si può parlare di censura. Ciononostante, casi eclatanti come quello del presidente Trump, ‘bannato’ da Twitter e Facebook, riaccendono la discussione tra esperti e nell’opinione pubblica. “Benchè vivace e in molti casi approfondita, mi pare però che la discussione ruoti prevalentemente attorno alla questione della legittimità del blocco degli account di Trump, evidentemente clamorosa, che considererei però marginale rispetto al fenomeno più ampio di cui si ragiona da anni: quali soluzioni tecniche e giuridiche adottare per ricondurre questi ‘ingombranti’ spazi privati nella sfera dell’autorità e soprattutto della regolazione pubblica (non solo antitrust)”, dice Pietrangelo.

Il nodo della questione è controverso: ci troviamo di fronte a uno spazio privato che, visti i servizi offerti, sembra atteggiarsi a spazio pubblico, ma a differenza di questo non è assoggettato a una regolamentazione pubblica. Al legislatore si sostituisce il proprietario – soggetto privato – della piattaforma online, che può, di fatto, scegliere di oscurare a suo piacimento un account. “Ecco perchè – spiega la ricercatrice – il tema è e resta quello più generale del ruolo delle istituzioni pubbliche e della regolazione pubblica al cospetto di apparati mercantili che di fatto occupano e governano oggi una grande parte del discorso pubblico”.

La Ue ha preso dei provvedimenti, il Digital Service Act e il Digital Market Act, “non del tutto convincenti, a mio avviso, perchè non incidono sul ‘vecchio’ modello di responsabilità delle piattaforme e anzi possono costituire una lama a doppio taglio. Più responsabilità sulla gestione dei contenuti illeciti, per esempio, può voler dire anche più peso per i grandi e troppo carico per i piccoli. Bisogna piuttosto spingere sulla concorrenza e obbligare gli OTT (piattaforme di streaming on demand) a condividere i ‘nostri’ dati, creando parallelamente le condizioni tecniche per aprire finalmente e democraticamente mercato”, conclude Pietrangelo.

“Il Cnr risponde” è uno spazio di informazione dedicato alle principali questioni di attualità. Gli esperti dell’Ente mettono a disposizione del pubblico la propria conoscenza con pillole video di due minuti e un linguaggio semplice e diretto.

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