Mar 2019

Il gioco del calcio è un fenomeno trasversale della nostra cultura. Coinvolge, infatti, diverse categorie di persone e altrettanti ambiti. Nel tempo ha mutato pelle, sganciandosi pian piano dall’atmosfera più onirica e idealistica degli esordi che lo aveva reso un contenitore di speranze tanto per gli italiani che volevano centrare il ’13 alla schedina’, quanto per i tifosi assiepati, gomito a gomito, sugli spalti. Oggi sono mutati tutti i suoi fattori, dagli stadi sempre più a misura d’uomo, confortevoli e adatti, preparati al merchandising delle squadre, agli scommettitori che sembrano seguire le regole degli investimenti di borsa. Le scommesse, infatti, sono considerabili alla stregua di investimenti: chi gioca, ‘investe’ del danaro su quote più o meno certe. Gli stessi videogame, che sul piano prettamente estetico inseguono un fine realismo, presentano schede di valutazione delle partite degne di un analista economico. Questa maggiore complessità genera cambiamenti anche nella professione di chi scrive di calcio. Il giornalista sportivo è bene che si doti di altre specifiche, di un bagaglio culturale più ampio. Chi riesce ad analizzare i big data nel calcio, per esempio, può godere di maggiori opportunità di lavoro.

Sono questi alcuni degli aspetti di cui si occupa ‘Umanità nel pallone’, progetto di ricerca promosso dal Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) che studia il calcio a 360 gradi. Nell’incontro, organizzato dagli Istituti Cnr di studi sulle società del Mediterraneo (Cnr-Issm) e di ricerca sulla crescita economica sostenibile (Cnr-Ircres), che si è tenuto all’università Sapienza di Roma, in collaborazione con il Dipartimento di scienze politiche, sono stati presentati i dati a conclusione del primo anno del progetto. Il prossimo step prevede una maggiore strutturazione, con la pubblicazione di un volume e la nascita della ‘Academic football league’, organismo incaricato di studiare il fenomeno calcistico in maniera più accademica.

 

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